I Giorni della Storia

Archive for settembre 2009

Accadde Oggi – 30 gennaio

Posted by Alessandro Ferretti su settembre 8, 2009

  • 1948 – Mahatma Gandhi viene ucciso da un estremista indù

Mohandas Karamchand Gandhi in devanagari मोहनदास करमचन्द गांधी, (Porbandar, 2 ottobre 1869 – Nuova Delhi, 30 gennaio 1948) è stato un politico indiano.

Importante guida spirituale per il suo paese, lo si conosce soprattutto col nome di Mahatma (“grande anima” in sanscrito), appellativo che gli fu conferito per la prima volta dal poeta Rabindranath Tagore. Gandhi è stato uno dei pionieri e dei teorici del satyagraha, la resistenza all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa che ha portato l’India all’indipendenza. Il satyagraha è fondato sulla satya (verità) e sull’ahimsa (nonviolenza). Con le sue azioni Gandhi ha ispirato molti movimenti di difesa dei diritti civili e grandi personalità quali Martin Luther King, Nelson Mandela, Aung San Suu Kyi e, in Italia, Marco Pannella.

In India Gandhi è stato riconosciuto come Padre della nazione e il giorno della sua nascita (2 ottobre) è un giorno festivo. Questa data è stata anche dichiarata Giornata internazionale della nonviolenza dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

tratto da Wikipedia, l’eniclopedia libera

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Accadde Oggi – 29 gennaio

Posted by Alessandro Ferretti su settembre 8, 2009

  • 1856  – La regina Vittoria del regno Unito istituisce la Victoria Cross

La Victoria Cross è la più alta onorificenza militare assegnata per il valore “di fronte al nemico” ai membri delle forze armate di alcune nazioni del Commonwealth e di alcuni territori dell’ex Impero britannico. Questa decorazione ha la precedenza su ogni altro ordine, decorazione e medaglia. Può essere assegnata ad una persona di qualunque grado militare in qualunque servizio e ai civili sotto comando militare. Viene conferita dalla Monarchia britannica durante una investitura che si tiene a Buckingham Palace. È la decorazione più elevata assieme alla George Cross, l’equivalente onorificenza per il valore mostrato non “di fronte al nemico”.

La Victoria Cross fu introdotta il 29 gennaio 1856 dalla Regina Vittoria per ricompensare le azioni valorose durante la Guerra di Crimea. Da allora la medaglia è stata conferita 1356 volte a 1353 persone. Solo 14 medaglie sono state assegnate dopo la Seconda Guerra Mondiale. Si racconta che il metallo di cui è composta proviene da un cannone russo catturato durante l’Assedio di Sebastopoli, ma delle ricerche recenti hanno sollevato dei dubbi e suggeriscono altre origini. A causa della sua rarità, è molto preziosa e può raggiungere un valore di 200 000 sterline all’asta. Esistono varie collezioni pubbliche e private, la più famosa delle quali appartiene a Lord Ashcroft e comprende più di un decimo di tutte le Victoria Cross assegnate.

tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera

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Accadde Oggi – 28 gennaio

Posted by Alessandro Ferretti su settembre 8, 2009

1521 – Inizia la Dieta di Worms; durerà fino al 25 maggio dello stesso anno.

Alla Dieta di Worms (1521), Martin Lutero sotto garanzia di un salvacondotto compare davanti alla Dieta su richiesta dell’imperatore Carlo V. Lutero difende le sue posizioni e il conseguente Editto di Worms lo dichiara fuorilegge. Viene stabilito l´ordine di matricola imperiale, la Reichsmatrikelordnung, un elenco delle entrate dei territori per lo stabilimento dei suoi servizi tributari e di difesa. Questo riguarda principalmente il sostentamento imperiale per la difesa dai Turchi (Reichstürkenhilfe), diventato necessario a causa delle mire espansionistiche di questi ultimi.

tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera

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I Taiping: la grande insurrezione del 1850-1864

Posted by Alessandro Ferretti su settembre 8, 2009

I Taiping:
la grande insurrezione del 1850-1864

I.

La formidabile rivolta e il governo di parte della Cina sotto il nome di “Regno celeste della Grande Pace”, negli anni 1850-1864, hanno lasciato un’impressione profonda sui cinesi. Da allora gli storici hanno continuato ad appassionarsi a quest’epopea sanguinosa e a quest’esperienza socialista eccessivamente precoce, che finì male.

Nel maggio-giugno 1979, non meno di 260 esperti, tra cui alcuni stranieri, si sono riuniti a Nanchino – effimera capitale dei Taiping – per discutere, in un convegno, i meriti comparati dei vari e principali protagonisti di questo movimento rivoluzionario fallito. D’altronde, non dimentichiamo che tale scossone ha interferito con altri gravi avvenimenti che si traducevano tutti nella disgregazione della dinastia e del potere manciù; lo Stato, verso la fine dell’episodio, venne “raccolto” da una concubina, la futura imperatrice Cixi.

Nel corso di quegli anni, infatti, le ultime guerre dell’Oppio hanno come conseguenza l’intervento armato degli inglesi e dei francesi, intervento caratterizzato dallo scontro sul ponte di Palikao e del sacco del Palazzo d’Estate (1860). Nel corso di quegli anni, attraverso questa breccia aperta, le potenze occidentali e giapponese si precipitarono letteralmente a confiscare gran parte dell’economia del paese. È necessario ricordare tali avvenimenti, se si vuole capire lo straordinario movimento rivoluzionario dei Taiping, che con circa sessant’anni d’anticipo riuscì quasi a rovesciare la dinastia manciù dei Qing.
Con l’approssimarsi del 1850, la Cina stava attraversando una grave crisi: uno sviluppo demografico galoppante, calamità naturali, una miseria straziante, la corruzione dei mandarini, e l’influenza smobilitante e insidiosa dei missionari cristiani; tutto ciò fece il gioco delle molteplici società segrete.
Tuttavia, la famosa rivolta dei Taiping, che riprendeva il mito millenarista del II secolo che annunciava l’avvento del Regno della Grande Pace – o Taiping – non fu la diretta conseguenza dell’opera delle società segrete. Fu dovuta a un illuminato, inizialmente solo, che seppe trascinare dietro di sé una folla di sfortunati e di disperati. Questo Hong Xiuquan, loro capo, messia, taumaturgo e annunciatore di un nuovo “millennio”, era impastato di un cristianesimo sommario e approssimativo, mescolato al taoismo e a certi aspetti del buddihsmo. Sognatore, ma sicuro del fatto suo, nutriva una certa diffidenza nei confronti delle società segrete. Tuttavia queste cercheranno il suo appoggio, una dopo l’altra, man mano che il suo movimento si allargherà, abbracciando gran parte della Cina. Queste società segrete non ave­vano intenzione di lasciarsi “sorpassare” da un mistico avventuriero che riusciva laddove loro avevano tutte fallito. Si solleveranno, ma in ordine sparso. Nella corrente degli anni 1850, molte di loro, come quelle del Piccolo Coltello (Xiaodahui) a Shanghai (1853-1855), per esempio, altre ad Amoy (Xiamen), a Canton, ecc., tentarono di legarsi al movimento Taiping, a questi Adoratori di Dio che volevano instaurare in Cina il rigido “Regno Celeste”. Ma, per mancanza di un’intesa reale e di una buona coordinazione, tutti questi movimenti fallirono e, dopo aver retto per undici anni nella sua capitale, Nanchino, Hong, il “Fratellino più giovane di Gesù” come si faceva chiamare, finì per suicidarsi, a 51 anni, ingerendo delle lamine d’oro.
In un paese rovinato, ridotto all’osso, in preda al dubbio, la rivoluzione fu affogata nel sangue e l’esperienza si chiuse con varie decine di milioni di morti. Tuttavia, questo scossone dei Taiping sarà il punto di partenza dei movimenti rivoluzionari cinesi del nostro secolo, e Mao stesso ammetteva di esservisi ispirato.

II.

Hong Xiuquan

Chi era questo Hong Xiuquan? Come riuscì a sollevare nel sud una vera e propria Crociata di pezzenti che infervorò quasi tutta la Cina? Gli storici sostengono che il movimento si sarebbe impadronito di circa 600 città. Certamente aveva di fronte un giovane imperatore, appena salito al trono (1851), Xianfeng. Questi venne cacciato dalla propria capitale (1860) dalle truppe franco-inglesi a morì a Jehol-Chengde, il 22 agosto 1861, a soli trent’anni. Marcio a pieno di vizi, sembra.

Hong Xiuquan, il ribelle, era un Hakka della regione Cantonese, rimasto profondamente turbato dai ripetuti fallimenti agli esami per accedere alla carica di mandarino. Soffriva di crisi con sintomi nevrotici, ed era gravemente addolorato per essere stato respinto dal sistema confuciano a cui si era dedicato completamente. Nel corso di queste crisi sembra che abbia avuto due visioni. Nel 1837, a 24 anni (in pieno periodo romantico, in Europa), ebbe una rivelazione: sosteneva che in Cielo, dove si era recato (!), gli avessero sostituito tutti gli organi interni. Là, il Padre celeste l’aveva incaricato di combattere l’idolatria e di instaurare il Regno della Salvezza sulla Terra, e gli aveva consegnato una spada e un sigillo, intimandogli di cacciare i manciù. Da quel momento si presentò pubblicamente come l’inviato di Dio, “nuovo Salvatore”, e “Fratellino più giovane di Gesù Cristo”. Gli erano capitati tra le mani volantini di propaganda protestanti e opuscoli, mediocri traduzioni dei due Testamenti. Queste letture lo spingeranno a recarsi a Canton nel 1846, per studiare la Bibbia più da vicino. Un missionario battista americano, Issachar Roberts, si spaventerà di fronte allo spirito esaltato del suo allievo e rifiuterà di battezzarlo.

Ma nel frattempo, dopo un quarto fallimento agli esami (1843), aveva iniziato ad atteggiarsi a Messia. Al tempo stesso apostolo e militante, sosteneva di essere in grado di guarire miracolosamente, e garantiva ai suoi compatrioti del Guanxi orientate, a ovest di Canton, che i cristiani erano i discepoli del vero Dio, la divinità cinese (Shangdi), il Sovrano Supremo, l’Antenato Universale che dà all’imperatore il suo mandato celeste e che è anche noto per il fatto di comparire in sogno ai mortali. Nulla accade o può essere fatto senza il volere di Shangdii. Quindi Hong lo fece coincidere, con la massima naturalezza, con il Dio dei cristiani.

Predicando così la Buona Novella, Hong aveva radunato in tre anni circa 30.000 adepti, contadini miserabili, battellieri e portatori disoccupati, disertori, briganti, Hakka e altri membri delle minoranze aborigene del Guangdong (provincia il cui capoluogo è Canton) e del Guangxi, la provincia vicina, a ponente, e a partire dalle quali il movimento si sarebbe esteso rapidamente verso est, nelle province del Medio e del Basso Yangzi (fiume Azzurro). Al suo ritorno da Canton, tornò a occuparsi dell’associazione che aveva fondato con i suoi discepoli, gli “Adoratori di Dio”. Questa comunità religiosa iconoclasta se la prendeva con il “culto degli idoli”, vera e propria “manifestazione demoniaca”.

II.

L’insurrezione dei Taiping

Le autorità cominciavano a inquietarsi per le loro azioni da commando nei templi, ma ormai la setta aveva preso il via e passò all’insurrezione. Nel 1851, Hong Xiuquan instaurava il Regno celeste e fondava la propria dinastia, proclamandosi Re del Cielo! Nel 1852, la regione di Guilin, poi Hankou (l’attuale Wuhan), Changsha a tutto il MedioYangzi erano in mano ai Taiping.

L’anno dopo cadeva Nanchino, che venne battezzata Tianjing, la “Capitale del Cielo”, e che sarebbe rimasta loro capitale per circa dodici anni. Quindi venne annesso anche il Basso Yangzi.

A Nanchino Hong costruì dei palazzi e stabilì la propria corte, in cui spesso i giovani fratelli avranno un ruolo nefasto. I ministri e i generali, spesso uomini notevoli e di talento, erano gelosi l’uno dell’altro e si odiavano. Hong conferì loro il titolo di “Figli di Dio”, e fissò per ciascuno, a seconda del suo rango, il numero di spose e di concubine che poteva avere. Insomma, ricreò a Nanchino l’organizzazione imperiale di Pechino.

Tuttavia la poligamia e il concubinaggio erano proibiti al popolo e l’adulterio, il divorzio e la prostituzione erano puniti con la morte!

Dall’ottobre del 1853 il suo esercito di accattoni, i “banditi dai capelli lunghi”, raggiunge Tianjin e ben presto minaccia Pechino, ma per la mancanza della cavalleria e di una certa decisione deve ritirarsi e tornare indietro. Lo spavento fu notevole. Per dieci anni, Hong si sforzerà di fare applicare il proprio programma rivoluzionario, di tendenze socialiste, egualitario e mistico (spesso d’ispirazione protestante), puritano, nazionalista e antimancese. Esaminiamolo più da vicino.

II progetto di Hong Xiuquan

Stranamente, la morale comunitaria predicata da Hong si riferiva al tempo stesso ai Dieci Comandamenti del cristianesimo monoteista, ai suoi dogmi e ai suoi concetti riguardanti il peccato, il pentimento e la remissione, nonché alle idee egualitarie ma feudali della Grande Armonia di Confucio. Con pugno di ferro, Hong tentava d’imporre uno Stato teocratico e militarizzato, e riforme sociali, importanti per la loro portata e audacia.
Furono così condannati lo schiavismo, la proprietà fondiaria, la poligamia (tranne per i capi), il concubinaggio, il commercio privato e il mercantilismo, la divinazione, la geomanzia, la stregoneria, i giochi d’azzardo, l’alcool, il tabacco e l’oppio. Inoltre, Hong proclama l’uguaglianza tra i sessi, sia al lavoro che in guerra. L’usanza di atrofizzare i piedi delle bambine viene abolita, e le giovanette vengono irreggimentate in eserciti femminili, comandati da donne. Del resto, è l’intera popolazione che viene organizzata in falansteri, in raggruppamenti paramilitari, all’interno dei quali ci si chiamava “fratello” e “sorella”, come oggi viene usato il titolo di “compagno”. In questa specie di comunismo agrario ante litteram, i beni di consumo, le terre, le ricchezze furono messe in comune, ma i sessi, invece, erano… rigorosamente separati. Il matrimonio monogamo dipendeva interamente dal benestare delle autorità. Così, questo movimento era al tempo stesso rivoluzionario, puritano, austero, virtuoso, femminista, comunista – nessuno poteva possedere beni in proprio ‑ collettivista e tuttavia religioso, dato che gli individui dovevano obbligatoriamente partecipare alle funzioni religiose settimanali, e in tal modo ormai erano severamente inquadrati. Non scordiamo che il potere conserva una base teocratica, dato che Hong ha ereditato da Shangdi il mandato Celeste.

D’ispirazione al tempo stesso cristiana, comunista e confuciana, il movimento è anche notevolmente nazionalista, anti-mancese e anti-mandarini. I capelli venivano portati lunghi e sciolti, non più raccolti nell’odiosa treccia che era stata imposta dai manciù dal XVII secolo. E si assiste al risveglio del nazionalismo Han, diretto contro l’occupante. Si tenta di organizzare militarmente l’intero paese in drappelli, pattuglie, battaglioni, reggimenti, divisioni (di 2.500 uomini per 13.156 famiglie!) ed eserciti di 125.000 uomini. Di fatto, soltanto la regione intorno a Nanchino venne sottoposta a questi formidabile mutazione delle strutture sociali e culturali. Ma si sarà capito che un secolo più tardi, Mao ha attinto moltissimo dai temi dei Taiping

II.

Lo sfondo di una rivolta

Indubbiamente la stupefacente rapidità dell’avanzata dei Taiping, l’espansione repentina e trionfante di questa ribellione, si spiegano con la grande miseria del popolo, le umiliazioni subite, le grandi inondazioni del fiume Giallo che, ancore una volta, ha appena cambiato il corso del suo letto e ormai si getta a nord della penisola dello Shandong e non più a sud, creando al suo passaggio terribili devastazioni e portando con sé milioni di cadaveri. Contemporaneamente il potere langue e perde la propria dignità di fronte alle potenze europee che accorrono a spartirsi la preda indebolita. Il paese scricchiola e ben presto si assisterà a sommosse su vari fronti: a ovest i mussulmani e nel nord della Cina i ribelli Nian, fomentati dalla società segreta del Loto Bianco.

Quando muore nel 1861 l’imperatore lascia un figlio che ha appena quattro o cinque anni, nato dalla concubina Yehonala, figlia di un membro della piccola nobiltà manciù. Questa si proclamerà imperatrice (Cixi) e si accaparrerà il potere. Lo conserverà per circa cinquant’anni, fino alla sua morte, nel 1908.

Ma, dopo il successo degli anni Cinquanta, il vento cambierà direzione per i Taiping. A partire dal 1860 le truppe governative partono alla riconquista dei territori insorti, che del resto sono le province più ricche dell’Impero. Di fatto, questo sussulto del potere non è affatto partito dall’occupante manciù, fortemente criticato e minacciato, né dal governo centrale di Pechino, ma della classe dei mandarini, dei letterati, i sostenitori dell’amministrazione delle province che sono spaventati dai saccheggi, dalle distruzioni, dagli attentati all’ordine stabilito e soprattutto dall’audacia delle riforme. I mandarini vedono con stupore crollare la totalità del loro universo. Per di più, il paese comincia ad essere stanco della distruzioni sistematiche, dato che molti templi, ricchi d’opere d’arte, sono state rasi al suolo. E la  guerra civile miete ogni giorno nuove vittime.

Sostenuto dalla piccola nobiltà provinciale e dai mandarini, il generale­letterato Zeng Guofan (1811-1872), alla testa di un esercito confuciano dello Hunan, parte per primo alla riconquista del paese. La svolta viene effettuata nel 1862, quando i Taiping minacciano Shanghai, diventata la principale città magazzino delle potenze internazionali, un porto che i ribelli fino a quel momento avevano volutamente “ignorato”. Anche gli occidentali finora avevano finto d’ignorare la guerra civile e Hong, l’agitatore, che tuttavia pretendeva di instaurare un certo “cristianesimo” nel paese. Aveva perfino lanciato loro degli appelli. Alcuni avventurieri, mercenari come gli americani Ward e Burgevine, erano arrivati al punto di raggiungere l’esaltato Hong.

Ma l’occidente optò per i propri interessi particolari e prestò man forte alle truppe governative; truppe francesi e inglesi, dal 1860, furono messe a disposizione del potere manciù. Il colonnello Gordon (1833-1885), detto “il cinese” e, più tardi, in Egitto, “Gordon Pacha”, si contraddistinse in questa spedizione.

Nanchino fu cinta d’assedio cadde il 19 luglio 1864; i suoi 100.000 difensori furono massacrati senza pietà. Davanti allo sfacelo, Hong si suicidò, ma il suo cadavere verrà riesumato, tagliato a pezzi e bruciato. Nel corso della ultime settimane, i suoi disordini mentali si erano aggravati e, come Sardanapalo, viveva in reclusione, nell’harem, in mezzo alle sue donne. In quanto ai collaboratori, discordia, lotte intestine e litigi li avevano neutralizzati e paralizzati. Del resto, anche loro vivevano nel lusso mentre imponevano sobrietà a indigenza ai propri “sudditi”. Per di più, le loro truppe si trovavano in svantaggio per l’assenza della cavalleria. Tuttavia, per due anni, nel Fujian continueranno ancora dei combattimenti nelle retroguardie, e alcuni Taiping, sfuggiti ai massacri, costituiranno i famosi Padiglioni Neri che si batterono contro i francesi in occasione della conquista di Tonkino.

Bilancio: varie decine di milioni di morti. La provincia del Jiangsu, quella di cui Nanchino è capoluogo, dovette venir ripopolata con emigranti dall’Hubei, tanto era stato dissanguata totalmente. Incalcolabili distruzioni. Centinaia di città distrutte. Un paese esangue e rovinato, sollevazioni che si diffondevano come un contagio in tutto il paese. Ma anche fermenti rivoluzionari che, dopo qualche decennio di torpore risorgeranno all’inizio del nostro secolo e porteranno all’attuale regime che presenta tante similitudini con quello dei Taiping.

( tratto dal sito TUTTOCINA.IT: Il portale sulla Cina )

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Documenti – I have a dream (Martin Luther King jr. – 1963)

Posted by Alessandro Ferretti su settembre 8, 2009

Fonte ( Department of Humanities Computing, University of Groningen, The Netherlands )

I have a dream

Martin Luther King jr.  (1963)

discorso pronunciato a Washington il 28 agosto 1963

I am happy to join with you today in what will go down in history as the greatest demonstration for freedom in the history of our nation.

Five score years ago, a great American, in whose symbolic shadow we stand today, signed the Emancipation Proclamation. This momentous decree came as a great beacon light of hope to millions of Negro slaves who had been seared in the flames of withering injustice. It came as a joyous daybreak to end the long night of captivity.

But one hundred years later, the Negro still is not free. One hundred years later, the life of the Negro is still sadly crippled by the manacles of segregation and the chains of discrimination. One hundred years later, the Negro lives on a lonely island of poverty in the midst of a vast ocean of material prosperity. One hundred years later, the Negro is still languished in the corners of American society and finds himself in exile in his own land. So we have come here today to dramatize an shameful condition.

In a sense we’ve come to our nation’s Capital to cash a check. When the architects of our republic wrote the magnificent words of the Constitution and the Declaration of Independence, they were signing a promissory note to which every American was to fall heir.

This note was a promise that all men, yes, black men as well as white men, would be guaranteed the unalienable rights of life, liberty, and the pursuit of happiness.

It is obvious today that America has defaulted on this promissory note insofar as her citizens of color are concerned. Instead of honoring this sacred obligation, America has given the Negro people a bad check; a check which has come back marked “insufficient funds.”

But we refuse to believe that the bank of justice is bankrupt. We refuse to believe that there are insufficient funds in the great vaults of opportunity of this nation. So we have come to cash this check- a check that will give us upon demand the riches of freedom and the security of justice.

We have also come to this hallowed spot to remind America of the fierce urgency of now. This is no time to engage in the luxury of cooling off or to take the tranquilizing drug of gradualism.

Now is the time to make real the promises of democracy. Now is the time to rise from the dark and desolate valley of segregation to the sunlit path of racial justice. Now is the time to lift our nation from the quicksands of racial injustice to the solid rock of brotherhood. Now is the time to make justice a reality for all of God’s children.

It would be fatal for the nation to overlook the urgency of the moment. This sweltering summer of the Negro’s legitimate discontent will not pass until there is an invigorating autumn of freedom and equality. Nineteen sixty-three is not an end, but a beginning. Those who hope that the Negro needed to blow off steam and will now be content will have a rude awakening if the nation returns to business as usual. There will be neither rest nor tranquility in America until the Negro is granted his citizenship rights. The whirlwinds of revolt will continue to shake the foundations of our nation until the bright day of justice emerges.

But there is something that I must say to my people who stand on the warm threshold which leads into the palace of justice. In the process of gaining our rightful place we must not be guilty of wrongful deeds. Let us not seek to satisfy our thirst for freedom by drinking from the cup of bitterness and hatred. We must forever conduct our struggle on the high plane of dignity and discipline. We must not allow our creative protest to degenerate into physical violence. Again and again we must rise to the majestic heights of meeting physical force with soul force.

The marvelous new militancy which has engulfed the Negro community must not lead us to a distrust of all white people, for many of our white brothers, as evidenced by their presence here today, have come to realize that their destiny is tied up with our destiny. And they have come to realize that their freedom is inextricably bound to our freedom. We cannot walk alone.

And as we walk, we must make the pledge that we shall march ahead. We cannot turn back. There are those who are asking the devotees of civil rights, “When will you be satisfied?”

We can never be satisfied as long as the Negro is the victim of the unspeakable horrors of police brutality.

We can never be satisfied as long as our bodies, heavy with the fatigue of travel, cannot gain lodging in the motels of the highways and the hotels of the cities.

We cannot be satisfied as long as the Negro’s basic mobility is from a smaller ghetto to a larger one.

We can never be satisfied as long as our chlidren are stripped of their selfhood and robbed of their dignity by signs stating “for whites only.”

We cannot be satisfied as long as a Negro in Mississippi cannot vote and a Negro in New York believes he has nothing for which to vote.

No, no, we are not satisfied, and we will not be satisfied until justice rolls down like waters and righteousness like a mighty stream.

I am not unmindful that some of you have come here out of great trials and tribulations. Some of you have come fresh from narrow jail cells. Some of you have come from areas where your quest for freedom left you battered by the storms of persecution and staggered by the winds of police brutality. You have been the veterans of creative suffering. Continue to work with the faith that unearned suffering is redemptive.

Go back to Mississippi, go back to Alabama, go back to South Carolina, go back to Georgia, go back to Louisiana, go back to the slums and ghettos of our northern cities, knowing that somehow this situation can and will be changed. Let us not wallow in the valley of despair.

I say to you today, my friends, so even though we face the difficulties of today and tomorrow, I still have a dream. It is a dream deeply rooted in the American dream.

I have a dream that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed: “We hold these truths to be self-evident; that all men are created equal.”

I have a dream that one day on the red hills of Georgia the sons of former slaves and the sons of former slave owners will be able to sit down together at the table of brotherhood.

I have a dream that one day even the state of Mississippi, a state sweltering with the heat of injustice, sweltering with the heat of oppression, will be transformed into an oasis of freedom and justice.

I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character.

I have a dream today.

I have a dream that one day down in Alabama, with its vicious racists, with its governor having his lips dripping with the words of interposition and nullification, that one day right down in Alabama little black boys and black girls will be able to join hands with little white boys and white girls as sisters and brothers.

I have a dream today.

I have a dream that one day every valley shall be exhalted, every hill and mountain shall be made low, the rough places will be made plain, and the crooked places will be made straight, and the glory of the Lord shall be revealed, and all flesh shall see it together.

This is our hope. This is the faith that I will go back to the South with. With this faith we will be able to hew out of the mountain of despair a stone of hope. With this faith we will be able to transform the jangling discords of our nation into a beautiful symphony of brotherhood.

With this faith we will be able to work together, to pray together, to struggle together, to go to jail together, to stand up for freedom together, knowing that we will be free one day.

This will be the day when all of God’s children will be able to sing with new meaning, “My country ‘tis of thee, sweet land of liberty, of thee I sing. Land where my fathers died, land of the Pilgrims’ pride, from every mountainside, let freedom ring.”

And if America is to be a great nation, this must become true. So let freedom ring from the prodigious hilltops of New Hampshire. Let freedom ring from the mighty mountains of New York. Let freedom ring from the heightening Alleghenies of Pennsylvania.

Let freedom ring from the snow-capped Rockies of Colorado. Let freedom ring from the curvaceous slopes of California. But not only that; let freedom ring from the Stone Mountain of Georgia. Let freedom ring from Lookout Mountain of Tennessee.

Let freedom ring from every hill and molehill of Mississippi. From every mountainside, let freedom ring.

And when this happens, and when we allow freedom ring, when we let it ring from every village and every hamlet, from every state and every city, we will be able to speed up that day when all of God’s children, black men and white men, Jews and gentiles, Protestants and Catholics, will be able to join hands and sing in the words of the old Negro spiritual, “Free at last! Free at last! Thank God Almighty, we are free at last!”

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Accadde Oggi – 27 gennaio

Posted by Alessandro Ferretti su settembre 8, 2009

1512 – Vengono promulgate le Leggi di Burgos

Le Leggi di Burgos (in spagnolo Leyes de Burgos) sono una serie di ordinanze stilate nella città di Burgos il 27 gennaio del 1512, il cui scopo era quello di regolamentare il trattamento dei popoli nativi del Nuovo Mondo, che non era garantito dell’Encomienda. Furono le prime leggi che la Monarchia Ispanica applicò per organizzare la conquista del Nuovo Mondo

Le ripetute denunce della condizione di schiavitù degli indigeni da parte dei frati domenicani di Santo Domingo, in particolare l’omelia di padre Antonio de Montesinos (1511), spinsero re Ferdinando II di Aragona a riunire a Burgos una giunta di teologi, giuristi e rappresentanti dei coloni con il compito di promulgare un testo legislativo atto a regolamentare la conquista del Nuovo Mondo e il rapporto tra indigeni e conquistadores attraverso l’encomienda, un sistema feudale utilizzato in Castiglia nel Medioevo che verrà applicato, come principio, alla conquista del Nuovo Mondo.

Le Leggi di Burgos si possono riassumere in quattro principi:

  • Gli indigeni sono liberi;
  • I Re cattolici sono i Signori degli indigeni e di conseguenza hanno il compito di evangelizzarli;
  • Era consentito obbligare l’indio a lavorare, purché il lavoro fosse tollerabile e il salario giusto, benché non fosse obbligatorio un pagamento in denaro;
  • Si giustifica la guerra e la conquista degli indigeni nel momento in cui essi si rifiutano di essere cristianizzati (per questo venne redatto il Requerimiento).

Il re Ferdinando il Cattolico incaricò i due più distaccati rappresentanti della giunta di scrivere il trattato: Juan López de Palacios Rubios e Matías de Paz.

tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera

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Accadde Oggi – 26 gennaio

Posted by Alessandro Ferretti su settembre 8, 2009

1887 – Battaglia di Dogali: le truppe abissine sconfiggono quelle italiane

La Battaglia di Dogali fu combattuta tra le truppe del Regno d’Italia e le forze abissine durante le prime fasi della penetrazione italiana in Eritrea.

La mattina del 25 gennaio 1887 il maggiore Boretti, comandante italiano del forte di Saati, dopo aver respinto il giorno precedente un assalto di circa 25.000 abissini con soli 1167 uomini (dei quali 1000 eritrei e 167 italiani) e due batterie di artiglieria, che causarono gravi perdite tra le file indigene, si rese conto che non avrebbe potuto resistere ad un altro attacco visto che al forte scarseggiavano viveri e munizioni. Così chiese rifornimenti al forte di Moncullo.

La mattina del 26 partirono i rifornimenti di generi alimentari, munizioni e venne inviata anche una colonna di rinforzo, formata da 548 soldati, comandata dal tenente colonnello De Cristoforis. La colonna fu però avvistata da alcuni guerrieri etiopici vicino la località di Dogali. Ras Alula, capo degli abissini, così invece di riattaccare il forte di Saati preferì assaltare la colonna in movimento. Nella stessa mattina la colonna fu attaccata da 7000 abissini. Gli italiani ripiegarono su una collinetta che si affacciava sulla valle e resistettero fin quando non terminarono le munizioni e a quel punto si arrangiarono come meglio poterono. Dopo quattro ore di combattimenti la colonna fu completamente travolta con lo stesso De Cristoforis che perì sotto le lance abissine.

Successivamente fu mandata una nuova colonna in aiuto di De Cristoforis che quando arrivò, a battaglia conclusa, trovò solo qualche ferito superstite. Da parte italiana si salvarono solo 1 ufficiale e 86 soldati invece gli etiopici ebbero solo poche centinaia di morti.

La battaglia provocò un terremoto politico in Italia che terminò con la fine del governo Depretis e l’inizio del governo Crispi. In Italia vennero anche costruiti dei monumenti in onore dei soldati caduti come ad esempio “Piazza dei Cinquecento” a Roma che venne nominata così per i circa cinquecento italiani che presero parte alla battaglia.

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Accadde Oggi – 25 gennaio

Posted by Alessandro Ferretti su settembre 8, 2009

1327  – Edoardo  III diventa Re d’Inghilterra

Edoardo di Windsor, in inglese Edward III of England (Castello di Windsor, 13 novembre 1312Richmond, 21 giugno 1377), fu re d’Inghilterra e signore d’Irlanda dal 1327 alla sua morte.

Alto e bello, Edoardo trasse ispirazione dalla cavalleria medioevale per i suoi ideali di vita. Durante tutto il suo regno sostenne fortemente e promosse la cavalleria, il che gli consentì di sviluppare buone relazioni con la nobiltà del regno.

Il suo regno (durato cinquant’anni) cominciò quando fu deposto il padre Edoardo II d’Inghilterra il 21 gennaio 1327, e finì nel 1377. Solo Enrico III prima di lui aveva regnato così a lungo, e ci vollero altri 400 anni prima che un altro monarca occupasse il trono con questa durata. Il regno di Edoardo fu segnato dall’espansione del territorio inglese attraverso le guerre in Scozia e in Francia.

tratto da Wikipedia , l’enciclopedia libera

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